I’ll wait and pray è un brano del 1961, annata di mezzo per uno dei sassofonisti più innovativi e sconvolgenti del jazz (che operò sostanzialmente dal 1950 al 1967), uno di quelli che ha segnato un passaggio epocale: John Coltrane.
Un “leone” del sassofono e del jazz che, come in passato hanno fatto personaggi del calibro di Charlie Parker, ha posto nuove basi. Coltrane ha arricchito la tradizione, innovando, e portando l’asticella più in alto, ancora oggi in molti casi non superata.
In quella che è stata la vita musicale e anagrafica di John Coltrane, il 1961 rappresenta un’età di mezzo: una “mezza età”, per l’appunto che rappresenta a tutti gli effetti una maturità dell’artista. Purtroppo, però, seguono altri anni, pochi, di continua ricerca, introspezione e lavoro sullo strumento e su di sè.
I’ll wait and pray
Il brano suggerito, tratto dal disco “Coltrane Jazz” (Atlantic Records), vedeva John Coltrane al sax tenore, Wynton Kelly al piano, Paul Chambers al basso e Jimmy Cobb alla batteria. Il brano fù scritto a quattro mani da George Treadwell e Jerry Valentine. Così come nella tradizione del jazz, sopratutto dal Be-bop in poi, anche in questo caso, un gigante, prende in prestito il materiale di un collega per farlo suo.
Ed ecco che l’esperienza del bandleader Coltrane, che si compone di un bagaglio che annovera grandi come Dizzy Gillespie, Miles Davis, Thelonius Monk, e di una tecnica strumentale fra le più raffinate e complesse, nonchè ricerche armoniche oggigiorno ancora attuali e avvincenti (in altre parole Giant Steps e i cosiddetti “Coltrane Changes”), si eleva un suono a volte chiaro a volte graffiato, sempre pronto a dare un guizzo di tecnica senza scadere nella freddezza. Note di pancia, armonici, “sheets of sounds”, suoni modali e quartali, arricchiscono questa esecuzione. C’è una sezione ritmica che accompagna magistralmente una voce d’ottone, che emula il volo di Bird, che con ghirigori musicali crea scherzi e variazioni al tema avvincenti e cantabili, per concludere con note alte, armonici e suoni sperimentali, che troviamo in altre sue composizioni (prima fra tutte Harmonique).
Il bello del Jazz
Il bello del Jazz è che è una perenne sfida: una presa diretta dei musicisti che spesso, ascoltando attentamente, vengono traditi da piccole sbavature che rimangono, talvolta, anche nelle grandi registrazioni passate alla storia. A me è sempre piaciuto, tanto, sentire il suono dei tasti del sassofono ripresi, involontariamente, dai microfoni, o del respiro e del fiato fra una frase e l’altra.
Coltrane è così, un’anima passionale e travolgente che si muove con eleganza e consapevolezza. Medita sulle note ma le lascia esplodere, il suo credo e la sua preghiera, la sua spiritualità nella musica, catturate per un attimo nel brano proposto, sono la chiave di lettura suggerita per comprendere il fenomeno John Coltrane. Un Coltrane che passa da umile sassofonista militare degli anni ’40 a innovatore. Un uomo che passa sotto il torchio di grandi e controverse personalità, anche sue coetanee come Miles Davis, ma da cui, con grande umiltà, ha saputo prendere per crescere e dirigersi come un treno verso la propria meta.
La crisi della mezza età di Coltrane si avverte in modo pregnante in questo album consigliato per l’ascolto. Il particolare lo si ritrova analizzando i musicisti che suonano nei brani in esso contenuti.
Coltrane Jazz può rappresentare, discograficamente parlando, il passaggio dal Kelly-Chambers-Cobb al Tyner-Garrison-Jones cioè al John Coltrane Quartet. Quel quartetto che, pur subendo delle piccole variazioni nel tempo, operò per una magnifica e duratura produzione musicale.
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