Live at the Village Vanguard – John Coltrane (Impulse!Records 1961)

Rieccomi qui a parlarvi di una nuova esperienza musicale di John Coltrane, datata 1961 e con lo sfondo del celeberrimo Village Vanguard!

In particolare parliamo di un disco, “Live at the Village Vanguard”, che comprende l’ormai nuovo gruppo di Coltrane. In una delle tracce si affianca un grande sassofonista jazz e free quale Eric Dolphy, in una delle tracce.

Più che parlare della figura di Coltrane in senso stretto, voglio continuare a raccontare la sua musica per mezzo delle opere, viste non solo con la lente d’ingrandimento ma offrendo una prospettiva più ampia. Ciò ci consente di non rimanere inebriati e disorientati dalla grandezza musicale del sassofonista, ma di avvicinarci e comprendere meglio tutto il fenomeno e la strada che ha tracciato.

Il Bignami di Coltrane

“Live at the Village Vanguard” conserva in sé nuove promesse di Coltrane: è un album che ci consente di scoprire tre fondamentali aspetti della sua musica. E’ un po’ il Bignami di Coltrane: c’è la tradizione, la spiritualità e l’innovazione.

L’album “Live at the Village Vanguard” è costituito da tre sole tracce:

  1. Spiritual – la spiritualità
  2. Softly, as in a morning sunrise – la tradizione
  3. Chasin’ the trane – l’innovazione

Spiritual

L’apertura del disco è quindi proposta attraverso il brano Spiritual, evocativo e profondo, che vede l’aggiunta di Eric Dolphy al clarinetto basso. Il dialogo fra gli strumenti a fiato, il tema ricercato e che gioca opportunamente su ripetizioni e reiterazioni, un ritmo più pacato sul quale costruire un mondo di soluzioni improvvisative, ci fa avvicinare alle nuove concezioni filosofico-musicali del sassofonista.

Si ripete l’esperienza, in Tenor Madness diversi anni prima, di affiancarsi a un esponente eminente degli strumenti a fiato, quale Eric Dolphy è stato (lo ricordiamo brevissimamente: polistrumentista che fra le tante collaborazioni ha suonato con Charles Mingus, in Free Jazz di Ornette Coleman e per la Blue Note ha registrato un capolavoro di nome Out of lunch!).

Il brano si sviluppa, e qui l’incontro fra spiritualità e innovazione, in ben 13 minuti di musica da ascoltare e assaporare immaginando Coltrane in meditazione col suo sassofono tenore.

Softly, as in a morning sunrise

Di seguito troviamo uno standard, i cui compositori sono la famigerata coppia Romberg-Hammerstein ed è un AABA.

Il brano è tratto dall’operetta The new moon, che a sua volta si rifà allo stile dell’operetta viennese. In “Softly” troviamo e notiamo una sostanziale spaccatura: il brano inizia in trio, senza sassofono. Un vigoroso e fluido McCoy Tyner ci introduce al tema e al primo solo. Le discussioni ritmiche fra piano, contrabbasso (Reggie Workman) e batteria (Elvin Jones), tengono chiusa la “bomba ad orologeria” di Coltrane, grazie anche a un ritmo incalzante suonato con le spazzole.

Il crescendo si sviluppa poi con una vera e propria apertura del brano: Elvin Jones passa alle bacchette ed entra Coltrane col soprano. Nulla di più maestoso e possente di questa entrata, dove interplay ed energia fluiscono su tutto il solo di Coltrane e attorno ad esso.

L’improvvisazione, sebbene comunque molto composta, è collettiva. Il soprano viaggia fra melodia e ipertecnicismi, fra acuti e gravi, portandoci a seguire il brano che termina in modo poco usuale: cioè senza un tema di chiusura, ma giusto un accenno.

Chasin’ the trane

Il disco si conclude con un brano molto particolare.
Chasin’ the trane, non è altro che un blues in F. Verrebbe da chiedersi: dove sta l’innovazione?
Per comprenderne la natura, analizziamo alcuni primissimi fattori che saltano all’occhio: solo Coltrane improvvisa su questo brano e la sua durata è di 16 minuti.

Nota storica: con questo brano inizia la collaborazione col bassista Jimmy Garrison, che durerà fino alla prematura scomparsa di Coltrane.

Se da un lato state pensando che 16 minuti sono troppi per un blues, magari vi starà scuocendo la pasta o dovete scappare in ufficio, peggiò è se su questo brano, su questi 16 minuti di musica c’è solamente un lungo assolo.

La grandezza di Coltrane, nel comporre un blues al momento e di un tema semplice, è quella di esprimere la sua arte attraverso il tempo e lo spazio, senza limiti.

16 minuti

Se un appassionato può trovare strano un solo che dura 16 minuti, rivolgo un pensiero ai colleghi musicisti che tecnicamente possono sentirsi tanto stimolati quanto terrorizzati.
Certo! Perchè sviluppare un solo è un’arte e la durata è un parametro estremamente delicato; devi avere la tecnica e i contenuti per durare così tanto.
Coltrane, senza battere un ciglio, ci offre 16 minuti d’arte, di un volo sassofonistico, un continuo dialogo musicale col gruppo. In un certo momento in poi si vede McCoy Tyner sparire, e  credo che avrebbe potuto e saputo continuare per ore.

L’espansione, in conclusione, è dovuta alla sua grande tecnica sul sax: ascoltiamo una vasta gamma di suoni ed esplorazioni, così come armonicamente possiamo sentire tanto delle note inside quanto outside. La cosa straordinaria è il respiro che ugualmente si avverte fra i fiumi di note e il carico di interplay con la sezione ritmica. Per me, 16 minuti sono stati pochissimi!


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