My favorite things segna l’inizio di un’epoca, per Coltrane, che annovera quelli che saranno, per molto tempo, i suoi compagni di viaggio. Sul finire degli anni ’50 Coltrane è in ascesa e ha sperimentato diverse esperienze, ha potuto provare su di sé collaborazioni di diversissima natura. E’, quindi, giunto il momento del “John Coltrane quartet”.
Nel quartetto sono presenti grandissimi musicisti, più o meno giovani all’epoca: il pianista McCoy Tyner, il contrabbassista Reggie Workman – che si avvicenderà e lascerà il passo a Jimmy Garrison – e il travolgente batterista Elvin Jones, appartenente a una nota famiglia di celebri jazzisti. Nasce un gruppo che riuscirà a tracciare la storia del jazz, assecondando con grandi sensibilità e capacità il percorso tracciato da Coltrane.
“My favorite things”, album costituito da 4 brani, è anche il titolo del brano d’apertura: un brano classico che con ritmo di waltz rappresenta una delle pietre miliari di Coltrane. In questa occasione, Coltrane, si esprime sul soprano – dopo aver ascoltato, studiato e portato avanti la tradizione di grandi come Sydney Bechet.
I brani sono tutti, mediamente, di lunga durata, ma sui quali Coltrane, e il gruppo, hanno lavorato come un mantra e sui quali, non solo il sassofonista ma tutti, improvvisano: un fiume che scorre possente grazie alle sue correnti interne.
La tecnica e la qualità di questo nuovo gruppo si sente molto nello sviluppo dei brani, che non stancano o perdono di inventiva pur avendo durate sopra la media. La stessa tecnica e qualità si sente anche nei momenti di solo, o ascoltando da vicino i fraseggi e le linee costruite dalla sezione ritmica come accompagnamento.
I brani del disco
E’ il caso di citare da vicino gli altri brani del disco: “Ev’ry time we say goodbye” è una bella ballad di quel genio di Cole Porter, arrangiata con dei bassi pedali che ne danno un carattere camminato e fluido, meno statico, meno mieloso. Un tappeto ritmico-armonico sul quale Coltrane, sempre sul soprano, offre dolcezza e grande eleganza tecnica.
Il disco ci presenta a questo punto due brani, due temi importanti della tradizione jazzistica, ovvero “Summertime” e “But not for me”, che sono stati interpretati da numerosi strumentisti e cantanti.
Cosa combina John Coltrane col suo gruppo?
Li “costringe” a suonare questi brani tradizionali con arrangiamenti nuovi, forzandone un po’ le caratteristiche ritmiche, e inserendo pesantemente i “Coltrane changes”, ovvero la successione di accordi che ascoltiamo su “Giant steps” e su tanti altri brani. I “Coltrane changes” sono un ritrovato armonico di Coltrane utilizzato come punto di riferimento o, nel caso dei due brani di cui stiamo parlando, come accordi di passaggio e sostituzione armonica a semplici cadenze (cadenze e tournarounds).
Quindi la complessità di approccio all’ascolto a questi due brani, non deve intimorire. Troviamo in questa complessità e ricchezza, tutta l’eleganza di Coltrane, la sua inventiva, la coesione di un gruppo tecnicamente all’altezza.
“My favorite things”
è un disco che ci prepara a un lirismo ritrovato nel nuovo gruppo, a soluzioni armoniche ormai consolidate e riconosciute, di cui Coltrane è creatore e si è fatto portavoce. In questo disco ci sono tecniche e soluzioni tutt’oggi studiate e usate dai musicisti più preparati. Un percorso nuovo, un solco, come quello di un vinile, che suona musica nuova. Percorso che si rinnoverà negli anni e nei dischi dagli anni ’60 in poi. Una strada che arriverà su vette altissime, a volte inarrivabili, e la cui comprensione sarà sempre più delegata a una ricerca interiore e un notevole sforzo per l’ascoltatore più temerario, che però verrà ricompensato con un’esperienza musicale unica.
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